Benvenuti nel blog di Saperi Precari, uno spazio di coordinamento, condivisione e comunicazione relativo alla nostra inchiesta sulle forme della precarietà in università. Negli scorsi mesi abbiamo sentito la necessità di organizzare questa inchiesta per diversi motivi. Ve li spieghiamo qui sotto!
A partire dalle proteste contro la Riforma Moratti, nel biennio 2004-2005, la mobilitazione nelle università italiane non si è mai fermata. Anche nei momenti di minore visibilità i collettivi studenteschi, le reti nazionali di precari della ricerca, le rappresentanze degli amministrativi delle università hanno continuato a esistere, a volte mutando forme e composizione, e a lavorare per costruire una università diversa. Uno dei nodi attorno a cui molte delle proteste degli scorsi anni si sono sviluppate è stato quello della precarietà di chi abita le università. Non è un caso che molto spesso le mobilitazioni universitarie si siano intrecciate alle lotte dei lavoratori precari.
Dopo sei anni di mobilitazioni, pensiamo sia arrivato di nuovo il momento di fermarci a conoscere. Questo non significa smettere di impegnarsi nelle mobilitazioni, che riteniamo necessarie e fondamentali per costruire e diffondere un’idea di sapere come bene comune e strumento critico di lettura della realtà. Fermarci a conoscere, piuttosto, significa utilizzare parte delle nostre energie per innescare nuovi processi di conoscenza e soggettivazione su università e precarietà durante e oltre le proteste. Il nostro progetto di inchiesta che si propone di portare alla luce le contraddizioni dell’università italiana, del suo sistema formativo, e anche delle lotte che l’hanno attraversata. Contraddizioni che – nel quadro della crisi economica globale e considerando la centralità che hanno assunto la produzione di saperi e lo scambio di conoscenze nel sistema produttivo del capitalismo contemporaneo – invece di dare vita a radicali e diffuse ondate di conflitto sono troppo spesso rimaste sepolte sotto la coltre di apatia e rassegnazione.
Saperi Precari è un’inchiesta che si ispira all’azione lenta della con-ricerca come strumento di comprensione e mobilitazione. Non vogliamo andare soltanto nei luoghi delle diverse forme di mobilitazione e lotte. Vogliamo entrare in quelle pieghe, spesso ampie, in cui si consuma una quotidiana assenza di conflitto, una rassegnata accettazione di un sistema universitario stantio nella sua flessibilità clientelare. Vogliamo capire cosa porta una ricercatrice a dirsi indisponibile all’insegnamento, facendo venire allo scoperto le contraddizioni dell’università italiana così come è stata governata fino ad ora. Ma vogliamo soprattutto capire cosa porta un ricercatore ad accettare di lavorare gratuitamente senza ribellarsi, cosa porta uno studente a disinteressarsi dei destini della conoscenza pubblica.
Conosciamo sulla nostra pelle i motivi che ci portano a non accettare passivamente le storture dell’università italiana. Sappiamo molto meno di quelle persone che, pure vivendo un disagio quotidiano, decidono di non partecipare alla protesta collettiva. La ricerca che proponiamo vuole andare oltre alla celebrazione del movimento. Eravamo in molti e dappertutto a protestare contro i tagli del ministro Tremonti all’università pubblica. Sono numerosi i ricercatori, strutturati e precari, che oggi si dichiarano indisponibili all’insegnamento. E molti sono pure i partecipanti alle manifestazioni organizzate dal mondo dell’università. Eppure, spesso, le proteste lasciano indifferenti, quando non infastiditi, molti studenti universitari. Allo stesso modo, chi per primo subisce la precarietà lavorativa all’interno delle strutture universitarie, chi per primo trascorre ore del suo tempo impegnato in un avvilente volontariato accademico, non sempre reagisce per migliorare le sue condizioni di vita e di lavoro. E quando reagisce, spesso, lo fa in modo atomizzato, cercando di sopravvivere alla precarietà attraverso l’elaborazione di strategie e tattiche individuali, solitarie, silenziose.
Per quali ragioni? Cosa è accaduto e cosa sta accadendo nelle università e, pure, ai movimenti sociali che le attraversano? Più in generale, quali sono i punti di forza acquisiti negli anni e le difficoltà nell’organizzazione collettiva delle lavoratrici e dei lavoratori precari, che oggi rappresentano circa il 12% della forza lavoro in Italia, tra cui si trovano soprattutto giovani, donne e migranti? In che modo e con quale profondità i dispositivi di controllo sociale pervadono i processi di soggettivazione evitando, spesso con successo, che bisogni e desideri quotidiani si trasformino in rivendicazione politica e conflitto? In questi ultimi anni i movimenti italiani sono stati in grado di costruire mobilitazioni e immaginari legati al mondo della precarietà che spesso sono andati al di là dei confini nazionali, contaminando e facendosi contaminare da altre lotte e altre rappresentazioni della precarietà in Europa e oltre. Alcuni percorsi nazionali hanno inserito con successo nell’agenda delle mobilitazioni, più difficoltosamente nella vita quotidiana degli atenei, pratiche e discorsi intorno a concetti e parole chiave come Autoformazione, Autoriforma, Reddito, Nuovo Welfare, Merito, Sapere Bene Comune. Questo ha contribuito a imprimere slancio, freschezza e innovazione alle mobilitazioni in corso mettendo in un angolo dinamiche ideologiche, nostalgiche e di difesa del passato. Allo stesso tempo, soprattutto nei due anni successivi alle mobilitazioni dell’Onda Anomala, i soggetti mobilitati hanno però incontrato alcune difficoltà a permeare i processi di soggettivazione e le dinamiche di potere in atto, quotidianamente, nelle nostre facoltà. Crediamo che il patrimonio collettivo sedimentato dai movimenti in questi anni debba essere coraggiosamente rimesso in campo e utilizzato per la costruzione di nuove dinamiche di confronto, relazione e cooperazione con i soggetti che vivono l’università costruite attraverso la logica, lo spirito e i tempi della con-ricerca. La nostra inchiesta si concentra su un ambiente lavorativo peculiare, l’università pubblica, per andare a guardare in che modo e con quali prospettive le mobilitazioni e gli immaginari degli ultimi anni si sono posati nella quotidianità delle persone che vivono la precarietà.
Siamo spinti da una forte curiosità politica. Siamo convinti che Saperi Precari possa promuovere un circolo virtuoso di inchiesta che possa ispirare dinamiche ricompositive tra le diverse forme di precarietà nelle università italiane, che possa promuovere nuove forme di lotta e protesta collettive. Non abbiamo paura di quello che troveremo, tra le pieghe di apatia individuale che si annidano nelle università italiane. Vogliamo invece comprenderle, decostruirle e ricomporle senza reticenze e ipocrisie. Anche con l’aiuto di chi queste pieghe le abita ogni giorno.